sabato 16 ottobre 2010

Quattro passi... con Ben - Undicesima puntata

L’estate che precedette l’inizio delle superiori fu caratterizzata dal massimo dei divertimenti. Avevamo formato un gruppetto molto affiatato di ragazzi, tutti del Nespolo, e spesso ci riunivamo a casa di qualcuno di noi per giocare.
A casa mia organizzammo magici ed infiniti tornei di ping pong.
Al circolo facemmo molti tornei di tennis sotto il sole dei pomeriggi di luglio.
Eravamo abbronzantissimi, neri come il cappello di un prete.
In quel periodo andavano di moda molti giochi radiofonici e spesso tentavamo la fortuna telefonando. La maggior parte delle volte era impossibile prendere la linea e così finivamo col giocare a carte oppure a battaglia navale a gruppi o ad altri giochi ancora. Un posto di ritrovo di questi incontri estivi era a casa di Elena, tutti seduti attorno ad un tavolo sotto un pergolato di viti.
Quello era il posto che preferivo, perché era raccolto e fresco allo stesso tempo; inoltre potevamo fare anche un po’ di confusione perché nessuno veniva infastidito.
Quella divenne la sede delle nostre giornate estive.
“Dove andate?” chiedeva la mamma a me e a mio fratello quando partivamo.
“Da quei ragazzi” era la risposta.
Quelle tre parole avevano un preciso significato, e cioè:
“Usciamo, andiamo a casa di Elena a giocare con Massimo, Moreno, Fabrizio, Gianluca, Elena, Tiziano, …”
La sera, dopo cena, il ritrovo preferito era sul muro di Renatino. Era il muro di cinta della casa dove abitava Renato, un ragazzo della mia età, alto e magro, talmente magro che questa sua caratteristica predominava sulla sua altezza, tanto da fargli affibbiare quel soprannome.
Lì, in un turbine di battute, si rideva a crepapelle e l’indubbio protagonista era Massimone, un ragazzone grosso, di qualche anno più grande, oggi avvocato, che ci deliziava con le sue storie.
Noi ragazzi più piccoli restavamo incantati a sentire le sue avventure. Mischiava una piccola parte di verità a una grossa dose di balle, ed il risultato era quello di ascoltare dei veri e propri racconti degni del più bugiardo degli artisti. Ogni sua frase era una battuta. Questo per le storie normali. Quando poi parlava di donne era il massimo dell’apoteosi. Per capire bisognava provare a immaginare un film molto spinto e comico allo stesso tempo: ebbene, il risultato sarebbe stato un film da ragazzi.
Era geniale e con la sua ilarità coinvolgeva tutti in serate che sarebbero state irripetibili solamente pochi anni dopo, perché con l’avvento dei motorini, il paese perse d’importanza e tutti cominciarono a cercare divertimenti più lontano.

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